Andare avanti non è facile, serve la
concentrazione, ma anche quella
a volte se ne va. L’istinto è quello di
rallentare, magari
anche di fermarsi, ma bisogna arrivare
fino alla fine. Le gare si vincono con
la
testa prima che con i muscoli, questo lo
dicono tutti, ma in una gara che dura
diverse ore la cosa risulta più vera che
in altri casi. Ma come si fa ad allenare
la mente a sopportare una simile fatica?
Risponde Diego Polani, psicologo sportivo che da anni lavora con la Nazionale
di nuoto di fondo.
Quanto conta l’aspetto psicologico in
una disciplina come il nuoto
in acque libere?
«Nel nuoto in acque libere, così come in
tutte le altre discipline che prevedono
uno sforzo molto prolungato nel tempo,
come ad esempio la maratona, il confronto con la propria mente risulta
particolarmente importante. L’atleta
deve
sapere in che momento può dare di più e
quando, invece, gli conviene regolare
le forze. In più c’è il problema della
concentrazione, che è impossibile da mantenere per un periodo di tempo troppo
prolungato e che quindi deve essere,
da un certo punto di vista, dosata come
le forze fsiche. Nel corso degli anni ho
sperimentato un sistema abbastanza
innovativo che consiste nel risvegliare l’attenzione in momenti chiave della
gara attraverso un input particolare».
In che modo si comincia il lavoro con un
atleta?
«Bisogna innanzitutto conoscere gli
atleti vivendo con loro e avendo a che
fare con loro tutti i giorni, poi,
attraverso l’utilizzo di test
scientifici,
comuni a molte discipline sportive, si
ottengono dei risultati da cui è
possibile inventare degli esercizi diversi per ogni
singolo atleta. Si cerca di lavorare su
quelle che
sono le emozioni più profonde di ogni
ragazzo, esaltando a seconda della persona emozioni forti come possono essere
quelle di rabbia oppure emozioni
più tenui».
Quali sono i problemi più comuni su cui
si è trovato a lavorare?
«Il problema più comune, soprattutto se
si parla di ragazzi giovani, è quello
dell’impazienza. Alcuni vogliono
ottenere risultati in pochissimo tempo
senza
rendersi conto che l’allenamento mentale
ha bisogno di tempo esattamente
come quello fsico. Nei ragazzi c’è
spesso la voglia di arrivare a risultati
di alto
livello troppo presto, senza nel
frattempo aver costruito una solida
base».
Qual è il momento più difficile durante
una gara?
«Il momento in cui l’atleta avverte più
difficoltà è generalmente quello in cui
ha
già tanti chilometri nelle braccia e il
traguardo è ancora lontano, quindi
intorno
alla metà gara. In questi momenti, anche
se non se ne rende conto, assume
una sorta di automatismo di movimenti
simile a quello della maratona».
Con quale atleta ha avuto modo di
riscontrare i risultati migliori?
«Risultati ottimi sono arrivati dal
lavoro con Alice Franco che nell’ultimo
annoha avuto dei miglioramenti notevoli. C’è
però da mettere subito in chiaro che i
suoi risultati non sono soltanto il
prodotto di un lavoro mentale, ma anche,
e
soprattutto, di un miglioramento a
livello atletico. Il lavoro fatto con
lei consisteva, in sintesi, nell’ancoraggio ad uno
stimolo sensoriale, ovvero nell’abituare
la
mente a raggiungere il massimo livellodi
concentrazione nel momento in cui
viene udita una determinata parola.
Abbiamo iniziato a provare questi
esercizi
durante i collegiali, poi lei ha
continuato a lavorarci in maniera
indipendente durante le sedute di allenamento con il
suo allenatore».
Quanto tempo può durare il lavoro con un
atleta?
«Non c’è un tempo preciso, dipende dal
ragazzo. Il lavoro con Alice è durato all’incirca un anno, ma noi ci
conoscevamo da molto prima. In ogni caso
non si tratta mai di tempi brevi perché
gli esercizi vanno piano piano metabolizzati».
In una disciplina come il nuoto
in acque libere, in cui l’atleta
è chiamato a confrontarsi con
gli elementi naturali, esistono
delle fobie particolarmente diffuse e,
nel caso, in che modo è possibile
far fronte a questo problema?
«Le fobie esistono e sono spesso legate a certi animali come ad esempio le
meduse o, in un caso specifico, a dei
serpentelli presenti nelle acque del
lago
Balaton, ma capita anche che sia l’acqua in sé a creare dei problemi. Succede che a spaventare sia l’acqua molto
alta o quella dove non si vede il
fondale.
In tutti questi casi non è possibile
fare un discorso comune, ma bisogna
lavorare sul singolo caso cercando di
individuare la causa di questi problemi e di
queste fobie».
Oltre agli atleti della Nazionale
di nuoto di fondo lei segue anche
ragazzi che gareggiano in altre
discipline, come ad esempio
il nuoto sincronizzato. Esistono punti
in comune tra i diversi tipi di lavoro?
«In realtà non molti perché i fattori su
cui si va a lavorare sono diversi. Per
il
nuoto di fondo è necessario indirizzare
gli sforzi sulla resistenza e sul
mantenimento della concentrazione, mentre per
quanto riguarda il nuoto sincronizzato
ultimamente abbiamo lavorato sul concetto di gruppo e di squadra».
A livello nazionale come è vista oggi
la figura dello psicologo sportivo?
«In Italia purtroppo c’è molta
confusione
su questa figura. Lo psicologo sportivo,
per potersi definire tale, deve essere un
professionista altamente specializzato,
mentre ci sono persone che si spacciano per mental coach o cose simili senza
averne titolo e vanno, in un certo qual
senso, a squalificare il lavoro di tutti
glialtri. Lo psicologo dello sport aiuta
l’atleta andando a scavare nel profondo,
mentre tante altre persone si limitano
a compiere un lavoro superfciale che
spesso danneggia più che aiutare. E’ un
peccato perché la figura dello psicologo sportivo è nata in Italia, con il
primo
convegno organizzato a Roma nel 1965,
ma come spesso accade molti paesi
stranieri hanno ripreso l’idea e l’hanno
sviluppata rendendola più effcace».
Come vede la Nazionale italiana
in prospettiva dei prossimi impegni
internazionali, i Giochi Olimpici
e i Campionati Europei di Piombino?
«Conosco tutti i ragazzi della squadra e
in questo caso parlo da tifoso oltre che
da psicologo sportivo. Spero possano
fare veramente bene e hanno la potenzialità per farlo sia come singoli
che
a livello di nazionale. Sono un gruppo
molto compatto, si sostengono uno con
l’altro e anche quando si trovano opposti in gara sono sempre e comunque
squadra».
|