Dal particolare al fondamentale: il quinto stile
di Andrea Ciccone

l cambiamento radicale che ha condizionato il nuoto e, più in generale, le discipline natatorie è da ricercare nel rinnovamento che ha subito la tecnica di nuotata. È stato più volte osservato come la novità sia quella del diverso ruolo che ricoprono i vari gruppi muscolari deputati all’avanzamento in acqua e la diversa percentuale con cui vengono utilizzati nei vari stili e nelle distanze specifiche rispetto al passato. Il cambiamento che sta avvenendo in questo momento, e che comunque si è già in parte realizzato, è da ricercare nel fatto che i punti di vista dai quali si osserva la tecnica sono molteplici. Infatti nel nuoto moderno la competizione è diventata il fulcro principale di tutto l’allenamento ed è partendo da questo presupposto che si costruisce la preparazione del nuotatore. Proprio con il concentrarsi su tutto ciò che riguarda strettamente la gara, il concetto di tecnica è stato reso sempre più ad ampio spettro. Ora la visione è ancora più globale: si comincia dalla partenza, si passa poi alle virate ed infine alla tecnica di nuotata normale. Il denominatore comune di queste tre componenti riguarda le fasi subacquee. L’obiettivo diventa quindi quello di mettere in luce tutto ciò che concerne queste parti subacquee di apnea, e di trovare il miglior allenamento in modo da trarre il massimo beneficio possibile. Ormai da qualche anno, vista la notevole importanza dimostrata in tutte le discipline natatorie, il nuoto subacqueo è stato codificato con il termine di 5° Stile.


UN PO’ DI STORIA
Nonostante la grande attenzione a questo particolare sia stata prestata solo nell’ultimo decennio, andando indietro nel tempo possiamo trovare alcuni pionieri del 5° stile. Già a partire dagli Anni '80 è possibile notare i primi tentativi di questa tecnica, più precisamente intorno al 1984 all’epoca delle Olimpiadi di Los Angeles. In particolare alcuni dorsisti erano diventati dei veri e propri specialisti del nuoto subacqueo, tant’è che quattro anni più tardi, alle Olimpiadi di Seoul del 1988, nella gara dei 100 dorso maschili, i componenti del podio percorsero parecchi metri di gara al di sotto della superficie. In particolare il vincitore, riuscì a nuotare ben 35 metri della prima vasca e 15 della seconda, esattamente metà dell’intera prova. L’idea di base che aveva spinto gli atleti in questione ad avventurarsi in questa tattica di gara è stata la seguente: la nuotata di gambe delfno sul dorso genera una velocità ben superiore rispetto a quella classica in superficie
relativa allo stile in oggetto. Inoltre a quei tempi i regolamenti internazionali erano assolutamente inespressi in termini di subacquee, dunque non c’era alcun limite. Facciamo ora un salto nel tempo e arriviamo fno ai giorni nostri quando la FINA ha regolamentato in modo preciso il numero massimo di metri percorribili in apnea nelle varie discipline. A oggi abbiamo assistito alla massima esaltazione di questa tecnica in occasione dei Mondiali di Melbourne nel 2007, da parte di alcuni atleti statunitensi. In questa occasione il primo pensiero di Bill Sweetenham, uno dei principali guru del nuoto, è stato ben chiaro: «Gli americani hanno dato al mondo una lezione di tecnica mai vista prima. La sgambata a delfino ormai deve essere considerata come il quinto stile. Credo che il nuoto sia entrato in una nuova era, sia passato a un livello superiore. Siamo di fronte ad una sfida sia per gli allenatori che per i nuotatori di tutto il mondo. Il mondo del nuoto risponderà, torneremo alla lavagna per studiare e capire. Abbiamo visto cose che in condizioni normali non ci saremmo certo aspettati di vedere, si apre una nuova era». In genitiva questo quinto stile consiste nell’effettuare la gambata dall’esterno verso l’interno, estremizzando anche sulle caviglie e sulle cosce il gesto del collo del piede verso l’interno. La sgambata modellata secondo lo schema appena descritto, si rivela il sistema di propulsione più veloce che sia presente tra i cetacei.


PROBLEMATICHE EMERGENTI
L’excursus storico che abbiamo appena fatto non ha lo scopo di essere presentato come una serie di aneddoti e curiosità, ma rappresenta il modo migliore per mettere maggiormente in risalto le problematiche relative allo sviluppo di una tecnica corretta ed efficace del quinto stile. Inoltre evidenzia ulteriormente gli aspetti necessari per l’allenamento ottimale di questa specialità, in modo da costituire per ogni nuotatore un qualcosa di vantaggioso e non controproducente. Gli episodi narrati in precedenza presentano una serie di particolarità che presentiamo di seguito.

– I primi tentativi di nuoto subacqueo all’inizio degli Anni '80 non ebbero degli esiti soddisfacenti e a volte condizionarono in modo negativo la prestazione per quel che riguarda l’aspetto tattico. Infatti accadeva che il nuotatore percorreva la parte in apnea a velocità insostenibili in superficie, ma non appena emerso presentava un calo di velocità della nuotata esponenziale. Pertanto risultava vanificato quanto di buono fatto nella nuotata subacquea. Quindi in termini cronometrici non ci fu subito un miglioramento significativo.

– Di conseguenza al punto precedente, la problematica che emerse sin da subito era quella legata all’enorme 81 debito di ossigeno dovuto all’esagerata permanenza sott’acqua.
– In base a questa riflessione, si può dedurre che il presupposto sbagliato, in questi casi, era rappresentato dall’aver dato per scontata la capacità di trattenere il respiro per un tempo prolungato, senza inficiare la tecnica e senza impoverire la velocità di nuotata per il resto della gara.
– Un altro aspetto che è stato messo in luce negli ultimi anni è che il vero obiettivo non deve essere quello di avanzare più metri possibili in subacquea, ma invece quello di percorrere una distanza massima (che è poi quella effettivamente consentita dal regolamento) il più velocemente
possibile.
– Per ottenere sott’acqua la maggior velocità possibile è necessario riuscire a mantenere una precisa situazione tecnica e, come per le nuotate degli altri stili, essere in grado di raggiungere la massima propulsione possibile, con il minor drag possibile.
Se la forza frenante (il drag) è troppo elevata, la forza propulsiva viene annullata e non produce avanzamento, ma viene dispersa. A questo scopo risultano fondamentali tutte le capacità di coordinazione e soprattutto di mobilità di alcune zone interessate a compiere questo gesto tecnico.

– Come per le altre nuotate, oltre alla mobilità, i gruppi muscolari che sono maggiormente utilizzati per questo tipo di propulsione vanno allenati in maniera corretta per tutto ciò che concerne le capacità condizionali.
 

ALLENAMENTO DEI MUSCOLI RESPIRATORI
Finora, tutte le volte che abbiamo affrontato la questione dei muscoli utilizzati nel nuoto ci siamo soffermati esclusivamente a livello di sistema periferico. Quindi abbiamo dato per scontato che le masse muscolari che noi adoperiamo per avanzare nell’acqua sono le uniche che si stancano effettivamente nel procedere dello sforzo. Ma lo sforzo è trasferito anche ai grandi apparati, come quello respiratorio. Studiando questa interazione dei due sistemi, alcuni ricercatori americani dell’Università di Buffalo hanno proposto una ricerca volta a dimostrare come i nuotatori possano
migliorare la prestazione attraverso allenamenti che hanno come obiettivo l’incremento della capacità di utilizzare i muscoli respiratori. In particolare sono stati studiati i particolari casi relativi all’apnea e all’ipossia. A prima vista una considerazione del genere può sembrare priva di senso, ma invece è stato dimostrato come fisiologicamente tale approccio sia più che corretto. Infatti quando i muscoli respiratori si affaticano in maniera significativa, il corpo umano passa in una specie di “modalità di sopravvivenza”.

In questo stato è assente il flusso sanguigno e di ossigeno dell’apparato locomotore, perché il tutto è reindirizzato ai muscoli respiratori, in modo che il soggetto che si trova in apnea possa procedere, pur in assenza di respirazione. A causa di tutto ciò, i muscoli locomotori che si ritrovano privati di ossigeno, ossia del carburante necessario, si affaticano rapidamente. Pertanto aumentare la forza e la resistenza dei muscoli deputati alla respirazione ci permette di prevenire
situazioni di stress e di fatica durante l’esercizio fisico prolungato, consentendo all’atleta di procedere normalmente nello sforzo e per un tempo maggiore senza affaticarsi, in modo da non pregiudicare la prestazione. I muscoli in questione, con le loro contrazioni, determinano delle variazioni di volume della cavità toracica e, in questo modo, l’inspirazione o l’espirazione d’aria nei polmoni. L’espansione della cavità toracica è determinata soprattutto dalla contrazione dei muscoli intercostali esterni e del diaframma. A questi si aggiunge, negli atti inspiratori profondi, l’azione dei muscoli scaleni, dello sternocleidomastoideo, del piccolo pettorale e del muscolo dentato anteriore; si tratta quindi dei muscoli inspiratori. Mentre la fase di  espirazione non comporta di norma una vera e propria attività muscolare, poiché il ritorno della gabbia toracica nella sua posizione di riposo avviene per semplice rilassamento degli stessi muscoli inspiratori e per l’elasticità della parete toracica e del polmone. Questo concetto non vale però per le espirazioni forzate e quindi negli sport natatori, nei quali si ha l’interesse da parte dei muscoli intercostali interni, dei muscoli della parete addominale anteriore e del muscolo quadrato dei lombi. Quelli appena elencati sono proprio i muscoli espiratori. Infine, oltre all’importanza dell’allenamento dell’apparato respiratorio in sé, è stata dimostrata anche l’importanza del riscaldamento dei muscoli inspiratori prima della competizione vera e propria. Un riscaldamento appropriato ha l’effetto di ridurre l’insorgenza della fatica e aumenta sempre la capacità di forza dei muscoli inspiratori stessi.
 

COME MUOVERSI SOTT’ACQUA?
Sin dai primi anni del nuovo millennio sono state fatte delle ricerche da parte di un gruppo di esperti nel campo della fluidodinamica presso l’università americana George Washington. L’obiettivo degli studi è stato quello di apprendere al meglio il modo di nuotare dei pesci. Analizzando bene la teoria della dinamica dei fluidi relativa alla gambata a delfino sono giunti alla conclusione che imitare il movimento di questa famiglia di cetacei rappresenta la migliore forma di locomozione possibile nell’acqua. Facendo un passo indietro, la prima condizione necessaria per ottenere il miglior avanzamento possibile riguarda la posizione che il corpo deve assumere in acqua, ed in particolare:

– La parte superiore deve assumere una posizione di idrodinamicità, ossia le braccia devono essere distese sopra la testa e ben in linea con il corpo, e le mani poste l’una sopra l’altra in modo da rompere l’acqua con la punta delle dita.
– La testa deve rimanere sempre ferma, incastrata tra le braccia, altri menti è solo causa di drag. Un altro punto chiave è legato al fatto che ogni fase subacquea è sempre conseguente a una partenza (quindi un’entrata in acqua con il tuffo) oppure a una spinta dal muro (dopo una qualsiasi virata). Per questo motivo la velocità iniziale non è mai nulla, ma anzi piuttosto elevata. Il primo obiettivo di una nuotata subacquea è di massimizzare la velocità iniziale, e così il nuotatore non deve mai iniziare la gambata a delfino immediatamente. La prima cosa che deve fare è trovare e mantenere la posizione appena descritta finché non inizia a rallentare. La gambata inizia solo in questo momento, se viene anticipata troppo, si ottiene l’effetto contrario, ossia resistenza all’avanzamento. I primi colpi sono relativamente lenti. Man mano che la velocità aumenta essi diventano man mano sempre più ravvicinati e profondi. Tutto questo senza eccessive ondulazioni della parte superiore del corpo, che deve essere sempre mantenuta orizzontale. Ma per poter trasferire lo sforzo delle gambe alla parte superiore una qualche ondulazione ci deve essere, ma limitata alla sola zona del bacino; tutto il resto deve rimanere immobile, altrimenti causa l’innalzamento della testa ed anche dei fianchi causando nuovamente resistenza all’avanzamento. In definitiva, uno degli aspetti più importanti da affrontare seriamente nell’allenamento del quinto stile riguarda la mobilità del bacino, che deve essere incrementata e mantenuta con opportuni esercizi di stretching da inserire nel programma di lavoro a secco.


UTILIZZO DELLE GAMBE
Un altro aspetto messo in luce a più riprese nel nuoto moderno è l’utilizzo sempre più massiccio ed effcace delle gambe da parte dei nuotatori. Già da alcuni anni si è vista una modifcazione del sistema propulsivo adoperato per l’avanzamento. Infatti oltre a una distribuzione dello sforzo che vede un maggiore impiego dei muscoli del tronco rispetto a quelli degli arti superiori, si ha un’estensione significativa agli arti inferiori, che vengono utilizzati in maniera sempre più continua, e non solo nelle gare di velocità pura, ma anche nelle distanze lunghe. Le gambe fanno la differenza sia nella parte nuotata, ma ancora di più in tutto ciò che concerne le partenze, le virate, di conseguenza le parti di apnea. Quindi l’allenamento moderno deve essere strutturato in maniera tale da permettere all’atleta di ottenere il massimo possibile dall’utilizzo di quest’ultima forma di propulsione che abbiamo appena descritto. La complicazione che ora emerge quasi naturalmente è dettata dalla spesa energetica consistente che richiedono i quadricipiti, muscoli poderosi, ma che consumano elevate quantità di ossigeno, specialmente se non sono allenati adeguatamente. Non tutte le persone ben allenate hanno gambe forti. Infatti per supportare queste grosse spese energetiche che presuppongono le grandi velocità, il punto chiave è allenare in modo sempre più specifico la zona muscolare interessata. L’allenatore deve sviluppare degli allenamenti che consentano agli atleti di sfruttare al massimo la propria gambata. Tutte le serie di gambe vanno strutturate esattamente come quelle che vengono eseguite tradizionalmente con le nuotate complete, e caratterizzate secondo i soliti parametri di volume, intensità e tempi di recupero. È bene cronometrare tutte le ripetizioni che vengono eseguite, anche quelle a bassa intensità. Per strutturare l’allenamento bisogna tenere conto del costo energetico in questione e del tempo di sforzo della gara che s’intende preparare.
 

CONCLUSIONI
Finora sono state analizzate le sfaccettature presenti in questa tecnica di nuoto che può essere vista come una nuova frontiera per il miglioramento degli standard prestativi degli sport natatori. In conclusione è bene soffermarsi su un ultimo punto chiave, relativo al come collocare in modo ottimale l’allenamento del quinto stile all’interno di un programma di lavoro più complesso. Chiaramente tutti questi particolari vanno allenati separatamente in modo da ottenere il miglior apprendimento possibile. Ma per poter esaltare al massimo questa specialità, tutto questo sistema deve essere incastrato dentro l’allenamento tradizionale. Quindi durante i normali lavori sulle altre parti dell’allenamento bisogna richiedere ai nuotatori di eseguire al meglio i gesti tecnici illustrati precedentemente e di mantenere standard elevati nell’eseguire questi particolari molto importanti e fondamentali per la competizione.

 

Copyright Dino Schorn - Design by Matthew