l cambiamento radicale che ha
condizionato il nuoto e, più in
generale, le discipline natatorie è da
ricercare nel rinnovamento che ha subito
la tecnica di nuotata. È stato più volte
osservato come la novità sia quella del
diverso ruolo che ricoprono i vari
gruppi muscolari deputati
all’avanzamento in acqua e la diversa
percentuale con cui vengono utilizzati
nei vari stili e nelle distanze
specifiche rispetto al passato. Il
cambiamento che sta avvenendo in questo
momento, e che comunque si è già in
parte realizzato, è da ricercare nel
fatto che i punti di vista dai quali si
osserva la tecnica sono molteplici.
Infatti nel nuoto moderno la
competizione è diventata il fulcro
principale di tutto l’allenamento ed è
partendo da questo presupposto che si
costruisce la preparazione del
nuotatore. Proprio con il concentrarsi
su tutto ciò che riguarda strettamente
la gara, il concetto di tecnica è stato
reso sempre più ad ampio spettro. Ora la
visione è ancora più globale: si
comincia dalla partenza, si passa poi
alle virate ed infine alla tecnica di
nuotata normale. Il denominatore comune
di queste tre componenti riguarda le
fasi subacquee. L’obiettivo diventa
quindi quello di mettere in luce tutto
ciò che concerne queste parti subacquee
di apnea, e di trovare il miglior
allenamento in modo da trarre il massimo
beneficio possibile. Ormai da qualche
anno, vista la notevole importanza
dimostrata in tutte le discipline
natatorie, il nuoto subacqueo è stato
codificato con il termine di 5° Stile.
UN PO’ DI STORIA
Nonostante la grande attenzione a questo
particolare sia stata prestata solo
nell’ultimo decennio, andando indietro
nel tempo possiamo trovare alcuni
pionieri del 5° stile. Già a partire
dagli Anni '80 è possibile notare i
primi tentativi di questa tecnica, più
precisamente intorno al 1984 all’epoca
delle Olimpiadi di Los Angeles. In
particolare alcuni dorsisti erano
diventati dei veri e propri specialisti
del nuoto subacqueo, tant’è che quattro
anni più tardi, alle Olimpiadi di Seoul
del 1988, nella gara dei 100 dorso
maschili, i componenti del podio
percorsero parecchi metri di gara al di
sotto della superficie. In particolare il
vincitore, riuscì a nuotare ben 35 metri
della prima vasca e 15 della seconda,
esattamente metà dell’intera prova.
L’idea di base che aveva spinto gli
atleti in questione ad avventurarsi in
questa tattica di gara è stata la
seguente: la nuotata di gambe delfno sul
dorso genera una velocità ben superiore
rispetto a quella classica in superficie
relativa allo stile in oggetto. Inoltre
a quei tempi i regolamenti
internazionali erano assolutamente
inespressi in termini di subacquee,
dunque non c’era alcun limite. Facciamo
ora un salto nel tempo e arriviamo fno
ai giorni nostri quando la FINA ha
regolamentato in modo preciso il numero
massimo di metri percorribili in apnea
nelle varie discipline. A oggi abbiamo
assistito alla massima esaltazione di
questa tecnica in occasione dei Mondiali
di Melbourne nel 2007, da parte di
alcuni atleti statunitensi. In questa
occasione il primo pensiero di Bill
Sweetenham, uno dei principali guru del
nuoto, è stato ben chiaro: «Gli
americani hanno dato al mondo una
lezione di tecnica mai vista prima. La
sgambata a delfino ormai deve essere
considerata come il quinto stile. Credo
che il nuoto sia entrato in una nuova
era, sia passato a un livello superiore.
Siamo di fronte ad una sfida sia per gli
allenatori che per i nuotatori di tutto
il mondo. Il mondo del nuoto risponderà,
torneremo alla lavagna per studiare e
capire. Abbiamo visto cose che in
condizioni normali non ci saremmo certo
aspettati di vedere, si apre una nuova
era». In genitiva questo quinto stile
consiste nell’effettuare la gambata
dall’esterno verso l’interno,
estremizzando anche sulle caviglie e
sulle cosce il gesto del collo del piede
verso l’interno. La sgambata modellata
secondo lo schema appena descritto, si
rivela il sistema di propulsione più
veloce che sia presente tra i cetacei.
PROBLEMATICHE EMERGENTI
L’excursus storico che abbiamo appena
fatto non ha lo scopo di essere
presentato come una serie di aneddoti e
curiosità, ma rappresenta il modo
migliore per mettere maggiormente in
risalto le problematiche relative allo
sviluppo di una tecnica corretta ed
efficace del quinto stile. Inoltre
evidenzia ulteriormente gli aspetti
necessari per l’allenamento ottimale di
questa specialità, in modo da costituire
per ogni nuotatore un qualcosa di
vantaggioso e non controproducente. Gli
episodi narrati in precedenza presentano
una serie di particolarità che
presentiamo di seguito.
– I primi tentativi di nuoto subacqueo
all’inizio degli Anni '80 non ebbero
degli esiti soddisfacenti e a volte
condizionarono in modo negativo la
prestazione per quel che riguarda
l’aspetto tattico. Infatti accadeva che
il nuotatore percorreva la parte in
apnea a velocità insostenibili in
superficie, ma non appena emerso
presentava un calo di velocità della
nuotata esponenziale. Pertanto risultava
vanificato quanto di buono fatto nella
nuotata subacquea. Quindi in termini
cronometrici non ci fu subito un
miglioramento significativo.
– Di conseguenza al punto precedente, la
problematica che emerse sin da subito
era quella legata all’enorme 81 debito
di ossigeno dovuto all’esagerata
permanenza sott’acqua.
– In base a questa riflessione, si può
dedurre che il presupposto sbagliato, in
questi casi, era rappresentato dall’aver
dato per scontata la capacità di
trattenere il respiro per un tempo
prolungato, senza inficiare la tecnica e
senza impoverire la velocità di nuotata
per il resto della gara.
– Un altro aspetto che è stato messo in
luce negli ultimi anni è che il vero
obiettivo non deve essere quello di
avanzare più metri possibili in
subacquea, ma invece quello di percorrere una distanza massima (che è
poi quella effettivamente consentita
dal regolamento) il più velocemente
possibile.
– Per ottenere sott’acqua la maggior
velocità possibile è necessario riuscire
a mantenere una precisa situazione
tecnica e, come per le nuotate degli altri stili, essere in grado di
raggiungere la massima propulsione
possibile, con il minor drag possibile.
Se la forza frenante (il drag) è troppo
elevata, la forza propulsiva viene annullata e non produce avanzamento,
ma viene dispersa. A questo scopo
risultano fondamentali tutte le capacità di coordinazione e soprattutto di
mobilità di alcune zone interessate a
compiere questo gesto tecnico.
– Come per le altre nuotate, oltre alla
mobilità, i gruppi muscolari che sono
maggiormente utilizzati per questo
tipo di propulsione vanno allenati in
maniera corretta per tutto ciò che
concerne le capacità condizionali.
ALLENAMENTO DEI MUSCOLI
RESPIRATORI
Finora, tutte le volte che abbiamo affrontato la questione dei muscoli utilizzati nel nuoto ci siamo soffermati
esclusivamente a livello di sistema
periferico. Quindi abbiamo dato per
scontato che le masse muscolari che
noi adoperiamo per avanzare nell’acqua sono le uniche che si stancano
effettivamente nel procedere dello
sforzo. Ma lo sforzo è trasferito anche
ai grandi apparati, come quello respiratorio. Studiando questa interazione dei due sistemi, alcuni ricercatori
americani dell’Università di Buffalo
hanno proposto una ricerca volta a
dimostrare come i nuotatori possano
migliorare la prestazione attraverso
allenamenti che hanno come obiettivo
l’incremento della capacità di utilizzare i muscoli respiratori. In particolare
sono stati studiati i particolari casi
relativi all’apnea e all’ipossia. A prima
vista una considerazione del genere può
sembrare priva di senso, ma invece è stato dimostrato come
fisiologicamente tale approccio sia più che
corretto. Infatti quando i muscoli respiratori si affaticano in maniera
significativa, il corpo umano passa in una
specie di “modalità di sopravvivenza”.
In questo stato è assente il flusso sanguigno e di ossigeno dell’apparato
locomotore, perché il tutto è reindirizzato ai muscoli respiratori, in modo
che il soggetto che si trova in apnea
possa procedere, pur in assenza di
respirazione. A causa di tutto ciò, i
muscoli locomotori che si ritrovano
privati di ossigeno, ossia del carburante
necessario, si affaticano rapidamente. Pertanto aumentare la forza e
la resistenza dei muscoli deputati alla
respirazione ci permette di prevenire
situazioni di stress e di fatica durante
l’esercizio fisico prolungato, consentendo all’atleta di procedere normalmente nello sforzo e per un tempo
maggiore senza affaticarsi, in modo
da non pregiudicare la prestazione. I
muscoli in questione, con le loro contrazioni, determinano delle variazioni
di volume della cavità toracica e, in
questo modo, l’inspirazione o l’espirazione d’aria nei polmoni. L’espansione
della cavità toracica è determinata soprattutto dalla contrazione dei muscoli
intercostali esterni e del diaframma. A
questi si aggiunge, negli atti inspiratori profondi, l’azione dei muscoli
scaleni, dello sternocleidomastoideo,
del piccolo pettorale e del muscolo
dentato anteriore; si tratta quindi dei
muscoli inspiratori. Mentre la fase di
espirazione non comporta di norma
una vera e propria attività muscolare,
poiché il ritorno della gabbia toracica
nella sua posizione di riposo avviene
per semplice rilassamento degli stessi muscoli inspiratori e per
l’elasticità
della parete toracica e del polmone.
Questo concetto non vale però per le
espirazioni forzate e quindi negli sport
natatori, nei quali si ha l’interesse da
parte dei muscoli intercostali interni,
dei muscoli della parete addominale
anteriore e del muscolo quadrato dei
lombi. Quelli appena elencati sono
proprio i muscoli espiratori. Infine,
oltre all’importanza dell’allenamento
dell’apparato respiratorio in sé, è stata dimostrata anche l’importanza del
riscaldamento dei muscoli inspiratori
prima della competizione vera e propria. Un riscaldamento appropriato ha
l’effetto di ridurre l’insorgenza della
fatica e aumenta sempre la capacità
di forza dei muscoli inspiratori stessi.
COME MUOVERSI SOTT’ACQUA?
Sin dai primi anni del nuovo millennio
sono state fatte delle ricerche da parte di un gruppo di esperti nel campo
della fluidodinamica presso l’università americana George Washington.
L’obiettivo degli studi è stato quello
di
apprendere al meglio il modo di nuotare dei pesci. Analizzando bene la
teoria della dinamica dei fluidi relativa
alla gambata a delfino sono giunti alla
conclusione che imitare il movimento
di questa famiglia di cetacei rappresenta la migliore forma di locomozione possibile nell’acqua. Facendo
un passo indietro, la prima condizione necessaria per ottenere il miglior
avanzamento possibile riguarda la posizione che il corpo deve assumere in
acqua, ed in particolare:
– La parte superiore deve assumere
una posizione di idrodinamicità, ossia le braccia devono essere distese
sopra la testa e ben in linea con il
corpo, e le mani poste l’una sopra
l’altra in modo da rompere l’acqua
con la punta delle dita.
– La testa deve rimanere sempre ferma,
incastrata tra le braccia, altri
menti è solo causa di drag.
Un altro punto chiave è legato al fatto che ogni fase subacquea è sempre
conseguente a una partenza (quindi
un’entrata in acqua con il tuffo) oppure
a una spinta dal muro (dopo una qualsiasi virata). Per questo motivo la velocità iniziale non è mai nulla, ma anzi
piuttosto elevata. Il primo obiettivo di
una nuotata subacquea è di massimizzare
la velocità iniziale, e così il nuotatore non deve mai iniziare la gambata
a delfino immediatamente. La prima cosa
che deve fare è trovare e mantenere la posizione appena descritta
finché non inizia a rallentare. La gambata
inizia solo in questo momento, se viene anticipata troppo, si ottiene
l’effetto contrario, ossia resistenza
all’avanzamento. I primi colpi sono relativamente
lenti. Man mano che la velocità aumenta essi diventano man mano sempre
più ravvicinati e profondi. Tutto questo
senza eccessive ondulazioni della parte superiore del corpo, che deve essere
sempre mantenuta orizzontale. Ma per
poter trasferire lo sforzo delle gambe
alla parte superiore una qualche ondulazione ci deve essere, ma limitata
alla sola zona del bacino; tutto il resto deve rimanere immobile, altrimenti
causa l’innalzamento della testa ed anche dei
fianchi causando nuovamente
resistenza all’avanzamento. In
definitiva, uno degli aspetti più importanti da
affrontare seriamente nell’allenamento
del quinto stile riguarda la mobilità
del
bacino, che deve essere incrementata
e mantenuta con opportuni esercizi di
stretching da inserire nel programma
di lavoro a secco.
UTILIZZO DELLE GAMBE
Un altro aspetto messo in luce a più
riprese nel nuoto moderno è l’utilizzo
sempre più massiccio ed effcace delle
gambe da parte dei nuotatori. Già da
alcuni anni si è vista una modifcazione del sistema propulsivo adoperato
per l’avanzamento. Infatti oltre a una
distribuzione dello sforzo che vede
un maggiore impiego dei muscoli del
tronco rispetto a quelli degli arti
superiori, si ha un’estensione
significativa
agli arti inferiori, che vengono
utilizzati
in maniera sempre più continua, e non
solo nelle gare di velocità pura, ma
anche nelle distanze lunghe. Le gambe fanno la differenza sia nella parte
nuotata, ma ancora di più in tutto ciò
che concerne le partenze, le virate, di
conseguenza le parti di apnea. Quindi
l’allenamento moderno deve essere
strutturato in maniera tale da permettere all’atleta di ottenere il massimo
possibile dall’utilizzo di quest’ultima
forma di propulsione che abbiamo appena descritto. La complicazione che
ora emerge quasi naturalmente è dettata dalla spesa energetica consistente
che richiedono i quadricipiti, muscoli
poderosi, ma che consumano elevate quantità di ossigeno, specialmente
se non sono allenati adeguatamente.
Non tutte le persone ben allenate hanno gambe forti. Infatti per supportare
queste grosse spese energetiche che
presuppongono le grandi velocità, il
punto chiave è allenare in modo sempre più
specifico la zona muscolare
interessata. L’allenatore deve sviluppare
degli allenamenti che consentano agli atleti di sfruttare al massimo
la propria gambata. Tutte le serie di
gambe vanno strutturate esattamente come quelle che vengono eseguite
tradizionalmente con le nuotate complete, e caratterizzate secondo i soliti
parametri di volume, intensità e tempi di recupero. È bene cronometrare
tutte le ripetizioni che vengono eseguite, anche quelle a bassa intensità.
Per strutturare l’allenamento bisogna
tenere conto del costo energetico in
questione e del tempo di sforzo della
gara che s’intende preparare.
CONCLUSIONI
Finora sono state analizzate le sfaccettature presenti in questa tecnica
di nuoto che può essere vista come una
nuova frontiera per il miglioramento degli standard prestativi degli
sport natatori. In conclusione è bene
soffermarsi su un ultimo punto chiave, relativo al come collocare in modo
ottimale l’allenamento del quinto stile
all’interno di un programma di lavoro
più complesso. Chiaramente tutti questi
particolari vanno allenati separatamente in modo da ottenere il miglior
apprendimento possibile. Ma per poter esaltare al massimo questa specialità, tutto questo sistema deve essere
incastrato dentro l’allenamento tradizionale. Quindi durante i normali lavori
sulle altre parti dell’allenamento bisogna richiedere ai nuotatori di eseguire
al meglio i gesti tecnici illustrati
precedentemente e di mantenere standard
elevati nell’eseguire questi particolari
molto importanti e fondamentali per la
competizione. |